Comitato Popolare Difesa Beni Pubblici e Comuni “Stefano Rodotà”

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INSIEME PER I BENI COMUNI

Stefano Rodotà e la sua rivoluzione soft dell’ordinamento giuridico sui Beni Comuni
Approda in Parlamento il Disegno di Legge n.1744 per la modifica del Codice Civile nella
regolamentazione dei Beni Comuni (http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/51598.htm).
Contestualmente sono state presentate 51.053 firme per la Legge d’Iniziativa Popolare. Inizia un
iter parlamentare su quella che potrebbe essere la Madre di tutte le Riforme.
Eravamo nel 1992 quando, eletto O.L.Scalfaro alla Presidenza della Repubblica, Stefano Rodotà, Vicepresidente della Camera, veniva dato Terza Carica dello Stato. Invece ci fu chi, in nome dell’Agenda Politica squassata da Tangentopoli, gli impose di mettersi da parte. Giurista di
Prima Fascia, prestato alla politica non partitica, nelle file della Sinistra Indipendente, Rodotà prima che politico fu analista, conoscitore intimo dei meccanismi legislativi, giurisprudenziali che aveva cuciti sulla pelle. Cosa ricordiamo di Rodotà se non l’aver promosso la Legge sulla Privacy e la Commissione per i Beni Comuni, la sua vera eredità politica?
Lo spirito Rodotà insegna che i Beni Comuni, declinati nel modo più corretto ossia Beni Pubblici, Beni Sociali e Beni fruttiferi vanno complementati con i Beni Immateriali quali Istruzione,
Salute, Diritto ai Diritti Civili, Lavoro, Energia (che rinnovata rientra nella tutela ambientale).
Il Comitato Rodotà, nelle persone dei promotori Ugo Mattei, Alberto Lucarelli e Luigi Di Giacomo, ha sposato questa filosofia apartitica, si badi bene non antipartitica o antipolitica, e ha dato vita ad una caratterizzazione aggregativa spalmata sul territorio e interpretata da personalità e semplici persone che ne conoscono il polso e le tendenze. Un esempio di lungimiranza anche politica, quella di esercitare tramite la LIP una rivoluzione neanche soft, agendo sul Codice Civile e
shuntando le possibili pastoie delle modifiche costituzionali, leggi parlamentari etc, Il degrado della politica, etico e pragmatico – giacchè il Legislatore e il Parlamento sono ostaggi della maggioranza governativa che opera per decretazione – obbliga a evitare accuratamente ogni possibile infiltrazione politica atta a snaturare una legge (LIP) che per sé costituisce la rivoluzione politica di questi anni, de facto e de iure, l’inversione delle tendenze perverse alla privatizzazione, ed ai suoi derivati, radioattivi direbbe Tremonti, quali cartolarizzazione, sussidarietà di Beni Comuni in gestione ai privati e quanto discende invece a cascata dalla LIP.
Il teorema giuridico e le sue contraddizioni Il nostro ordinamento giuridico, espresso dal Codice Civile, demarca la proprietà pubblica da
quella privata con una certa confusione tecnico-giuridica sulle attribuzioni di poteri esecutivi e gestionali e soprattutto sul concetto di demanio e di beni pubblici, da un lato, e quello di proprietà
privata. Osservava, infatti, Massimo Severo Giannini che se si vuole davvero comprendere a fondo la materia occorre «quasi dimenticare ciò che si è detto e si è scritto sul demanio, e riprenderlo da
capo» . Riprendere da capo la materia significava appunto che non fosse assolutamente necessario introdurre nulla di nuovo ma, molto più semplicemente, «tornare alle origini», cioè rivolgere l’attenzione ai dati, di carattere storico e sociale, che hanno determinato la nascita stessa dell’istituto demaniale, che affonda le proprie radici nei fenomeni di appartenenza collettiva dei beni che servono a una data comunità per soddisfare le proprie vitali esigenze (allo stesso tempo, comunitarie e legate alla sopravvivenza dei singoli). Il demanio, infatti, rileva Giannini, è stato all’origine «una proprietà collettiva, cioè una proprietà da cui ogni membro della collettività poteva trarre delle utilizzazioni»«Il principale bersaglio critico di questo Manifesto per i beni comuni –
scrive Mattei – è costituito dall’assetto istituzionale fondamentale del potere globale oggi dominante: la tenaglia fra la proprietà privata, che legittima i comportamenti più brutali della moderna corporation, e la sovranità statuale, che instancabilmente collabora con la prima per creare sempre nuove occasioni di mercificazione e privatizzazione dei beni comuni».

La nuova disciplina sui Beni Comuni indica invece la strada per le riattribuzioni, non solo proprietarie, ma gestionali dei beni materiali e immateriali.Beni Comuni Immateriali
Ecco che ne derivano dei concetti a cascata. Se, in accordo con la Commissione Rodotà, i beni comuni si distinguono in beni ad appartenenza pubblica necessaria, beni fruttiferi, beni pubblici
sociali, è da questi ultimi che nasce l’ulteriore classificazione dei Beni Comuni Immateriali. Quelli cioè deputati alla realizzazione piena dei diritti civili e sociali. Quali ad esempio, il diritto alla salute, alla istruzione, alla comunicazione e libertà di stampa, quest’ultimo tutelato sì dall’art. 21 della Costituzione che, purtroppo nel 1948, non poteva prevedere l’accesso alla comunicazione digitale, l’uso del web e della proprietà digitale. Ma tra tutti spicca l’esempio, oggi sotto gli occhi di
tutti, della Tutela ambientale, non prevista dalla Costituzione che accenna solo alla “tutela del paesaggio” nell’art. 9, il cui comma secondo individua «la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e
artistico della nazione o nell’art. 44, riguardante il razionale sfruttamento del sottosuolo, con un generico riferimento a «orientamenti volti a promuovere e imporre la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo” senza incidere su temi, ora preminenti, come la sostenibilità ambientale e la tutela della salute.
La rivoluzione soft della nuova concezione dei Beni Comuni porta ad una nuova identificazione della partecipazione cittadina alla gestione collettiva non solo di beni e servizi essenziali ma soprattutto in tema di collocazione strategica di questi. L’azionariato diffuso che si propone di
mantenere un assetto collettivo in termini di proprietà non esclude il diritto dei soggetti concorrenti alla decisione strategica dell’utilizzo del bene.
a) La recente polemica sullo stadio di S. Siro, destinato ad essere sostituito da un nuovo
Stadio, di proprietà fifty-fifty Società di Calcio Milanesi e Comune di Milano, costituisce un esempio di quanta confusione ci sia in termini di proprietà e gestione di un bene di appartenenza pubblica. E soprattutto non viene considerata affatto la possibilità di una Pubblic Company ad azionariato diffuso tra i cittadini che vi concorrono.
b) Per converso, la gestione delle Aziende Ospedaliere, nate dall’accentramento della gestione della salute nelle mani dell’assessorato regionale competente, in virtù dell’attribuzioni dei poteri locali, in ossequio all’art. 117 della Costituzione, titolo V, la dice lunga sull’appropriazione da parte di Corpi dello Stato ( sia pure legittimi quali gli Enti Locali) di un Bene Comune Immateriale, la salute, che però si veste di Bene Comune Fruttifero nella gestione, parziale ovviamente, di un capitolo di spesa del
Bilancio Statale che, con i suoi 113 mld, è il più alto tra tutti i Dicasteri.
c) Non ultima la necessità di rendere le fonti energetiche e con esse tutta la Materia Ambientale degna di altissima considerazione quale bene Comune e Condiviso, tra i più necessari per salvaguardare con l’ambiente, posti di lavoro e funzionalità della collettività intera.
d) Ed ancora la deforma costituzionale della riduzione dei parlamentari, si inscrive in questo contesto di cassazione dei Beni Comuni, mortificando il Massimo Bene Comune che è la Rappresentanza Parlamentare, quale diritto ineludibile alla partecipazione collettiva della Democrazia.
L’azionariato diffuso e lo sviluppo del Bilancio Partecipativo

Ne consegue che Azionariato Diffuso e Pubblic Companies possono essere incluse nella strategia politica del New Deal Giuridico sui Beni Comuni.
A cascata ne discende che attraverso questo nuovo ordinamento di correzione del Codice, la Legge d’Iniziativa Popolare è legittima arma di scardinamento della vecchia politica secondo la quale le strategie di gestione dei Beni Comuni ( ed un tempo solo Pubblici) dovevano essere gestiteda Enti Privati (Banche, Assicurazioni entrate nelle cartolarizzazioni e vendite dirette del patrimonio pubblico) e Stato, rappresentato dal Gestore Politico, ostico a fare gli interessi collettivi.
L’azionariato diffuso e lo sviluppo del Bilancio Partecipativo possono invece essere strumenti cittadini di riallocazione dei Beni Comuni e del loro utilizzo. Basti pensare al ruolo delle Municipalizzate nella gestione dei Servizi Pubblici Locali.

In conclusione riabilitare gli strumenti anzi detti, Azionariato Diffuso e Bilancio Partecipativo per rendere davvero di pubblica utilità i Servizi che, sia pure definiti Pubblici, sono nella gestione politica e quindi di parte e non di tutti.
Ne deriva per transitività che tali negazioni esistenti che hanno reso di necessità la riesumazione dello Spirito Rodotiano, non possono che essere attribuite all’Agenda Politica, responsabile del degrado attuale, materiale e morale del Paese. Ma ne deriva ancora che- ancora pochi se ne sono accorti- è nata un’Isola Felice del vero Riformismo nei fatti, laddove molte parti politiche ci hanno riservato solo chiacchiere.
Essa costituisce per contro l’interlocuzione Costituzionale d’obbligo nell’iter della LIP. Ma per converso ancora cercherà di destrutturarla perché non conveniente a Banche, Assicurazioni,
Imprenditoria, Industria Petrolifera e della Salute (dai Farmaceutici alle Aziende destinatarie di appalti).
Ne deriva ancora un corto circuito per cui si rende indispensabile il colloquio con chi potrebbe, con emendamenti, stralci, rinvii di calendarizzazione, sterilizzare la legge in itinere e attribuire la
colpa altrui.
Da qui la necessità di:

  • Rendere le Assemblee dei Soci e di coloro che si sono battuti nei territori davvero
    sovrane ed in grado da opporre un perfetto contraltare alla Politica tendente a
    strumentalizzare;
  • Ridare cioè il senso di sovranità popolare, finora, da altri, declinato nel senso del più
    becero sovranismo opportunista;
  • Costituire da subito un Comitato Esecutivo per sviluppare ogni forma di declinazione
    possibile del Bene Comune (Salute, Istruzione, Lavoro, Energia, Vivibilità Urbana). Il
    Comitato dovrebbe poi dare luogo alla realizzazione del processo di Azionariato
    diffuso, dando luogo a comitati locali sul Bilancio Partecipato.
  • Costituire da subito un Comitato Etico che incarni lo spirito Rodotiano, una sorta di
    Corte della Costituzione Rodotiana al fine di evitare ogni possibile deriva, anche
    involontaria, verso forme altre di legislazione che potrebbero rivelarsi alternative o in
    contrapposizione allo spirito che ci anima; e con il compito di sorveglianza e
    monitoraggio non solo della Legge, che è un epifenomeno, ma dell’intero processo di
    sviluppo del Comitato.
    In conclusione, la vera novità del Comitato sta nella sua essenza, apartitica ma non
    apolitica, capace di inserire nella stanza dei bottoni l’asset Istituzionale che da anni
    aspettiamo ma che deve assolutamente mantenere lo Spirito che la anima.

poteri di tutela in via amministrativa nei casi e secondo le modalità definiti nei decreti legislativi di
cui al comma 1; 
2) beni pubblici sociali. Sono quelli le cui utilità essenziali sono destinate a soddisfare bisogni corrispondenti ai diritti civili e sociali della persona. Non sono usucapibili. Rientrano tra gli altri, in
questa categoria: le case dell’edilizia residenziale pubblica, gli edifici pubblici adibiti a ospedali, istituti di istruzione e asili; le reti locali di pubblico servizio È in ogni caso fatto salvo il vincolo reale di destinazione pubblica. La circolazione è ammessa con mantenimento del vincolo di destinazione. La cessazione del vincolo di destinazione è subordinata alla condizione che gli enti pubblici titolari del potere di rimuoverlo assicurino il mantenimento o il miglioramento della qualità
dei servizi sociali erogati. Con i decreti legislativi di cui al comma 1 sono stabilite le modalità e le condizioni di tutela giurisdizionale dei beni pubblici sociali anche da parte dei destinatari delle prestazioni. La tutela in via amministrativa spetta allo Stato e ad enti pubblici anche non territoriali che la esercitano nei casi e secondo le modalità definiti dai citati decreti legislativi. La disciplina dei beni sociali è coordinata con quella dei beni di cui all’articolo 826, secondo comma, del codice
civile, ad esclusione delle foreste, che rientrano nei beni comuni; 
3) beni pubblici fruttiferi. Sono quelli che non rientrano nelle categorie indicate nei numeri 1) e 2) della presente lettera. Essi sono alienabili e gestibili dalle persone giuridiche pubbliche con strumenti di diritto privato. L’alienazione ne è consentita solo quando siano dimostrati il venir meno
della necessità dell’utilizzo pubblico dello specifico bene e l’impossibilità di continuarne il godimento in proprietà con criteri economici. L’alienazione è regolata da idonei procedimenti che
consentano di evidenziare la natura e la necessità delle scelte sottese alla dismissione. I corrispettivi realizzati non possono essere imputati a spesa corrente; 
e) definizione di parametri per la gestione e la valorizzazione di ogni tipo di bene pubblico. In
particolare: 1) tutte le utilizzazioni di beni pubblici da parte di un soggetto privato devono
comportare il pagamento di un corrispettivo rigorosamente proporzionale ai vantaggi che può trarne
l’utilizzatore individuato attraverso il confronto fra più offerte; 2) nella valutazione delle offerte,
anche in occasione del rinnovo, si dovrà in ogni caso tenere conto dell’impatto sociale ed
ambientale dell’utilizzazione; 3) la gestione dei beni pubblici deve assicurare un’adeguata
manutenzione e un idoneo sviluppo anche in relazione al mutamento delle esigenze di servizio 

  1. I decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono adottati nel rispetto della
    procedura di cui all’articolo 14 legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro della
    giustizia, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, dell’interno e della pubblica
    amministrazione e l’innovazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra
    lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; 
  2. Gli schemi dei decreti di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere ai fini dell’espressione del
    parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari e per i profili di carattere finanziario. Il
    parere è reso entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dei medesimi schemi di decreto.
    Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque emanati. 
  3. Entro dieci mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 1, nel rispetto dei
    criteri e princìpi direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare disposizioni
    integrative e correttive. 
  4. Dall’attuazione della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
    pubblica.
    Comitato Popolare di Difesa Beni Pubblici e Comuni “Stefano Rodotà”
    Segreteria nazionale – Luigi De Giacomo 333.4905495