Victoria Campo chiamava Tagore Gurudev e Tagore chiamava Victoria Vijava.
Caro Gurudev,
Ieri sono andata a casa tua. Lo ammetto, non è stata una cosa molto saggia. Il tramonto faceva capolino sopra la scala e sapevo che mi stava aspettando nella tua stanza vuota. Uno spaventoso senso di solitudine mi ha perseguita da quando ho lasciato te e la Giulio Cesare, e speravo di raccogliere alcune briciole della mia recente felicità nella casa dove avrei vissuto. Ma le cose non possono confortare. Rendono tutto peggio. Mi nacque nel cuore un tale desiderio di te, una tale nostalgia ( che non poteva essere placata ) per tutto quello che avevo avuto e che avevo perso, che non potei sopportarlo. Il vuoto del mio cuore si ripeteva nei muri, negli alberi, nel fiume e nel cielo. Non c’era vita da nessuna parte. E poi, come per ridere di me per contrasto, sopravvenne un vivido ricordo di vita, di te, nella casa e nel giardino. Fuggii come una codarda, ma la desolazione non mi abbandonava. Mi seguì passo passo. Invano ho tentato di immaginare che non te ne eri realmente andato. Non è servito. In questo mortale senso di solitudine volevo pietà e pietà non venne da nessuna parte. Spero di uscire da questa nuvola di disperazione. So che è sbagliato essere incapaci di pensieri se non dolorosi: Ma se sapessi tutto quello che significhi per me, scuseresti la mia debolezza.[…] Spero che qualche beneficio ne deriverà e che sarò portata dal mio attuale stato di infelicità a fare qualche lavoro non completamente indegno e che l’amore che riempie il mio cuore fino a scoppiare mi aiuti. Per tutto quello che mi hai dato, non sarò mai capace di spiegarti quanto veramente grata io ti sono. Bacio le tue mani, Gurudev. Vijaya